RICERCA DELL’ASCOLTO

“Niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette. Libertà estrema, un estremista, un viaggiatore esteta che ha per casa la strada”

La frase è una citazione di Into the wild, film uscito nel 2007, scritto e diretto da Sean Penn, ispirato al romanzo di Jon Krakauer "Nelle terre selvagge". La storia racconta il viaggio di un giovane che scappa dalla vita di tutti i giorni, dalla razionalità, dalla corruzione della mente. Scappa dai pensieri che inevitabilmente lo condizionano, dalle convenzioni che silenziose imprigionano l’animo, dal conformismo, dai preconcetti che crescono in lui. Decide di morire per rinascere “immacolato”. Si rifugia in ciò che di più puro e primitivo esista: natura incontaminata, il nulla o l’indispensabile. La pellicola parla di infelicità dettate da una società che condanna all’ergastolo lo spirito umano; ma a cosa rinuncia il protagonista fuggendo? a cosa rinunceremmo noi se ci rivoltassimo all’abitudine per imbatterci in uno stile di vita non convenzionale? Può realmente esistere un qualcosa di anticonformista? Non si è lui stesso imprigionato costringendosi ad un unico stile di vita?

Forse non ha alcun senso cercare di ribellarci, forse non esiste niente a cui ribellarsi se non a noi stessi. Non si tratta di conformismo e tanto meno di anticonformismo, se ci imponiamo di perseguire un certo tipo di esistenza, lo stesso sforzo compiuto per rendere la nostra vita “diversa” sarà la nostra condanna. Nel tentativo di essere liberi saremo i primi a precluderci migliaia di esperienze: non possiamo racchiudere in una sola vita, per quanto speciale possa essere, tutta la complessità e i cambiamenti dell’animo di una persona. Dobbiamo saziarci con quante più esperienze possiamo vivere, non evitiamo le strade più affollate per la paura di confonderci con gli altri e non percorriamole solo perché sicuri che non ci perderemo in esse! Troviamo invece il coraggio di cambiare direzione quando ne sentiamo il bisogno, di spegnere le luci se siamo stanchi della luce e la forza di riaccenderle se ci stiamo perdendo. In noi ci deve essere un po’ di “viaggiatore esteta”, ma con più strade come case. Smettiamo di guardare ovunque e iniziamo a guardarci dentro, non sprechiamo il nostro tempo nel tentativo di costruire qualcosa che si allontani ad ogni costo dall’esistenza più comune, ma piuttosto ritagliamo quanto più spazio possibile per la ricerca di ciò che ci fa stare bene. Coltiviamo la capacità dell’ascolto di noi stessi per poter riconoscere la nostra strada.